“Preferisci camminare fino al centro del lago o scalare fin sulla cima del promontorio e guardarlo dall’alto?” Quella di Sergey è una domanda distratta, ma per un viaggiatore come me, amante del rischio ma con mille paure, ha dei risvolti esistenziali. Le sponde del lago si inerpicano fino al cielo. Non potrebbero essere più ripide di così. La risposta è scontata…
L’esplorazione del lago salato sor Tuzbair è l’ultima tappa del mio soggiorno nel deserto del Mangystau. Cerco di imprimere ogni particolare di questo posto, delle sue asprezze, dei suoi ritmi pacificanti. Le jeep corrono veloci sotto un cielo riarso dal sole.
“C’è davvero un lago in mezzo al deserto?”, chiedo a Sergey. “Non adesso. L’acqua si raccoglie qui durante la stagione delle piogge, ma d’estate evapora e resta solo il sale. Al centro del lago, però, il terreno è ancora fangoso.
A volte i temporali estivi sorprendono i turisti: l’acqua viene convogliata rapidamente nel bacino del lago e si rischia di rimanere impantanati. Può essere pericoloso”.
Ci fermiamo al volo per un rifornimento di benzina, che qui in Kazakhstan costa meno di 20 centesimi al litro. I giacimenti di gas naturale e greggio lo rendono uno dei paesi più ricchi al mondo. Il ragazzo che ci rifornisce indossa un passamontagna. Ne ho visti diversi in vendita in un mercato dove siamo passati stamattina. Non servono a coprirsi il viso per tentare una rapina, ma per ripararsi dal vento sabbioso che può alzarsi all’improvviso. Mi sorprende la presenza di questi benzinai che spuntano come funghi, nel bel mezzo del nulla. A pochi metri, un branco di cavalli selvatici corre, criniere al vento, lungo il ciglio della strada.
Arriviamo al lago Tuzbair a metà pomeriggio. Una vastissima area pianeggiante si estende ovunque l’occhio spazi. Non si direbbe proprio, ma ci troviamo al centro del lago. Le sponde frastagliate definiscono il perimetro del lago alle nostre spalle, ma davanti a noi la pianura sembra sconfinata.
Il lago si trova nella regione sud-occidentale del Mangystau, dove non ci sono fonti d’acqua e il terreno è ricco di sale.
Circa 250 milioni di anni fa questa zona era coperta dall’oceano di Tetide, quindi si tratta in effetti di sale marino. Vista dall’alto, la colorazione bianca del terreno salato dà luogo ad un piccolo miraggio e il lago sembra coperto d’acqua anche in estate.
Oltre al bacino del lago, ad attirare i turisti sono le particolarissime sponde, con picchi e increspature che sembrano disegnate. Domani mattina, se vogliamo, potremo scalarle.
Il sole inizia a calare e Sergey mi viene incontro in preda all’agitazione. “Smetti di giocare a fare foto buffe”, mi rimprovera. “Sta tramontando proprio adesso e non sei ancora andato a fotografare il buco nella roccia. Poi non dire che non ti avevo avvertito”. Ormai ho un fratello maggiore kazako che veglia su me. Sono davvero fortunato!
Mi avvicino alla formazione rocciosa: la luce e le ombre serali ne sottolineano le rientranze. L’effetto è sensazionale. Ricorda il tempio di Grayskull!
Resto qui fino al calar del sole. Quando torno alle jeep, Sergey e i suoi compagni stanno preparando la cena. Monto la mia tenda e mi guardo intorno. C’è sempre un momento in cui un luogo estraneo ci diventa familiare.
Generalmente accade quando si sta per partire. A me capita adesso. Mi guardo intorno e vengo colto da una profonda malinconia. Sergey stasera ha anche acceso un falò per illuminare la notte. Vuole spremermi le lacrime dagli occhi?
Prima di andare a dormire, scopro il tettino della tenda. Mi intrufolo nel sacco a pelo e guardo in alto. Le stelle si incidono una ad una sul fondale della notte. Sono così nitide che vorrei contarle tutte.
Sveglia all’alba. La colazione è rinviata dopo un ultimo trekking. Il gruppo si è diviso in due su dove dirigersi. “Preferisci camminare fino al centro del lago o scalare il promontorio fino in cima e guardarlo dall’alto?”
Quella di Sergey sembra una domanda casuale ma per un viaggiatore come me, amante del rischio ma con mille paure, ha dei risvolti esistenziali. Le sponde del lago si inerpicano taglienti fino al cielo. Non potrebbero essere più ripide di così. “Sono sopravvissuto al canyon di Bozshira, non mi farò fermare dal Tuzbair!”, rispondo. “Bravo, Andrea. Vedrai, non è pericoloso!”
Un brivido corre lungo la schiena.
La salita si rivela faticosa ma più che fattibile. Arriviamo in vetta e godiamo di un panorama indescrivibile.
Le creste sulla costa del lago si snodano una dopo l’altra, creando sporgenze tondeggianti e strette insenature. Il terreno color nocciola e il sale creano contrasti nettissimi. Non lo chiamano ‘il deserto dipinto’ a caso.
Stasera prenderò un treno notturno che mi porterà in Uzbekistan. Il pensiero di non rivedere più questi scenari così aspri e rigeneranti mi lascia un po’ di amarezza. Arriviamo alla stazione in silenzio. A quanto pare, non sono il solo a non amare gli addii.
Saliamo su un treno in preda al caos, mentre nella mia mente si affollano le immagini dei luoghi visitati nei giorni scorsi: i canyon vertiginosi di Bozzhira, le montagne che Sergey ha ribattezzato Tiramisu
e la suggestiva Vale dei Castelli.
“Quando torno a casa, scriverò un articolo sui 7 motivi per non venire in Mangystau“, confido a Giulia mentre saliamo sul treno. “Non ci si lava, si mangia poco, non ci sono bagni… dobbiamo trovarne altri quattro”.
Ci sforziamo un po’, poi desistiamo. Il nostro tentativo di scoraggiare il turismo nel Mangystau fallisce miseramente. La verità è che ci siamo innamorati di questo territorio e vorremmo preservarlo dai rischi di un turismo di massa. La sola idea che qualcuno possa passare di qui lasciando una scia di bottiglie di plastica e cartacce mi chiude lo stomaco. Posso solo sperare che i prossimi viaggiatori comprendano il valore di questa regione e sappiano rispettarla.