Le montagne del Mangystau in Kazakhstan sono protette da castelli immaginari, dotati di guglie, torrioni e mura di cinta. Difendono il nostro diritto di fantasticare e inventare mondi di fantasia, come eravamo soliti fare da bambini.
Uno dei miei primi ricordi d’infanzia è un gioco che facevo all’asilo. Guardavo le nuvole in cielo e mi divertivo a ravvisare in esse le forme di oggetti e persone. Qualche nuvola sembrava un signore con la barba lunga lunga e mi chiedevo se fosse quello il Dio di cui le maestre mi parlavano. Nel Mangystau non c’è tempo di chiedersi a cosa somiglino le nuvole. Le formazioni rocciose hanno forme che solleticano la fantasia a tal punto che si può trascorrere tutto il giorno a vederci dentro le figure più disparate.
Mi sveglio nella mia tenda singola, che Sergey spaccia per doppia, e sono pronto per salire sulla jeep. Oggi visiteremo un sito davvero insolito, che i kazaki chiamano Torysh, gli inglesi “Valley of Balls” e noi italiani, per non scadere nel volgare, abbiamo tradotto con la “Valle delle sfere”.
Il sito si trova nell’area occidentale della regione, nelle vicinanze di Shepte. Ciò che la rende così insolita è la presenza di migliaia di sfere di roccia, disseminate lungo ampie vallate steppose. Le sfere hanno dimensioni variabili, alcune sono piccole come un cagnolino da borsetta, altre sono grandi come automobili.
“Questo è un luogo unico al mondo!”, declama Sergey al colmo dell’entusiasmo. “Non ce ne sono altri così al mondo!”
In realtà, basta fare qualche ricerca online per scoprire che un fenomeno simile è presente anche in Nuova Zelanda. Le cause che hanno portato a tali formazioni rocciose sono state poco studiate finora, e ci domandiamo tutti se le sfere si siano prodotte per accumulo di materiale o per erosione…
Passeggiamo in lungo e largo per il sito e rinveniamo qualche sfera che si è spaccata col tempo. Al suo interno, si può notare un nocciolo di materia più compatta, come il tuorlo di un uovo. Questo ci convince del fatto che probabilmente il fenomeno sia avvenuto per accumulo di materiale intorno ad un nucleo. Viviamo il nostro momento alla Alberto Angela e ci sentiamo tutti geologi esperti!
Ci fermiamo a pranzare lungo un sentiero sterrato. Mangiamo il solito pasto accennato che farebbe imbestialire un camionista romano. Mi consola la bellezza della vista delle valle delle sfere. Ma è una consolazione che dura poco, perché si alza un vento incattivito che ci riempie gli occhi di sabbia e di brutti pensieri. Finiamo di nutrirci di fretta e ci togliamo dalle palle… di Torysh!
Lungo la strada incontriamo una fonte d’acqua naturale. Un camion vi si sta rifornendo e anche noi ne approfittiamo per lavarci via un po’ di sabbia. Quando sei sporco, l’acqua è la miglior cosa!
Il nostro giro prosegue spensierato. La steppa si spalanca davanti a noi, piatta e vasta. Poi, solitario, lo Shergala Sherkala emerge come un miraggio. Si tratta di una montagna molto famosa tra i locali, che ne ammirano le striature cromatiche e soprattutto la forma particolare.
Sherkala in kazako significa “montagna del leone”. Sergey ci invita a notare che la sagoma della montagna assomiglia a quella di un leone sdraiato o a una sfinge. Risaliamo sulla jeep e costeggiamo il fianco di Sherkala. La sua forma cambia fino a diventare simile a quella di una yurta, un grossa tenda circolare. Non credo di avere avuto tanta fantasia nemmeno da bambino, ma cerco di fare un piccolo sforzo!
La mattinata è stata goliardica. Il pomeriggio sarà poetico.
Ci dirigiamo infatti verso Airakty Shomanai, ovvero la Valle dei Castelli.
Qui il poeta e pittore ucraino Taras Shevchenko realizzò una serie di dipinti che intitolò “The Valley of Castles”. Le formazioni rocciose, con i loro profili particolari, ricordano infatti castelli fortificati, dotati di torri, guglie, mura di cinta e colonnati.I dipinti, realizzati nel 1851 quando il pittore era in esilio, stupirono il mondo e resero famosa una località altrimenti sconosciuta.
Arriviamo nel tardo pomeriggio, quando la luce del sole si fa radente, proietta lunghe ombre e rende tutto ancora più suggestivo. Qualche cammello passeggia solitario, un gruppo di cavalli bruca l’erba secca della steppa.
Qui trascorreremo la terza splendida notte nel deserto. Prima di montare le tende, ci concediamo una lunga passeggiata e ammiriamo ogni intersezione, ogni picco.
Il Mangystau ci sta facendo dimenticare tutte le comodità della vita moderna. Tutte cose che già non vogliamo più ricordare.