Il Tamil Nadu è la quintessenza dello spirito indiano. Per oltre 2000 anni, questa regione dell’India meridionale ha sviluppato la sua cultura senza influenze provenienti dal nord. Antico porto della dinastia Pallava, Mamallapuram, con i suoi templi dedicati a Shiva, incarna appieno la cultura dravidica, il fervore mistico e l’entusiasmo per la vita.
Il mio tour inizia di mattina presto, con la visita di Mamallapuram Hill. Si tratta di un’altura rocciosa dall’aspetto preistorico, pieno zeppo di monumenti storici risalenti al VII secolo. Mi colpisce subito la grande folla di persone che attendono davanti alla biglietteria. La mia presenza genera molta curiosità: è il mio primo incontro con gli eredi delle genti dravidiche, che abitano l’India meridionale da oltre 6000 anni. Hanno carnagione scura, nera, capelli lisci e occhi dal taglio aperto, luminosi ed espressivi. Come sto per scoprire, hanno un temperamento amichevole, solare e gioioso!
Mi avvicino ad un gruppo di signore, con figli e nipoti al seguito, vestite con degli splendidi sari color rosso mattone. Indossano gioielli, bracciali d’oro e vistosi orecchini al naso. Folti capelli lisci e argentei contrastano con la carnagione delle pelle. “Can I take a picture of you?”, chiedo. Mi accolgono con tantissimi sorrisi, mi scattano foto a loro volta e improvvisano una danza tipica per darmi il benvenuto!
Come si fa a non amare l’India?
Vicino all’entrata del sito, scorgo il faro di Mammalapuram, costruito nel 1887 in cima ad un promontorio roccioso. Poco distante ci sono i resti dell’antico faro costruito dalla dinastia Pallava, che regnò dal III al IX secolo e che aveva sfruttato la posizione marittima di Mamallapuram per farne il suo principale porto. Purtroppo, il faro non è più attivo dal 2001, a causa di minacce di attentati da parte di gruppi terroristici locali, ma dal 2011 è visitabile dai turisti.
A poca distanza, su uno sperone gemello, sorge un tempio dedicato a Shiva e scavato in un’unico blocco di roccia, il Mahishamardini mandapa. La fila per visitarlo è ordinata ma chilometrica. Mi adatto al clima rilassato del Tamil Nadu e mi perdo tra i sari e i turbanti degli altri visitatori.
Passeggio verso nord, tra templi di Shiva scavati nella roccia, colonne raffiguranti leoni e grandi lastre su cui sono scolpiti gruppi di elefanti. Finalmente arrivo al sito più famoso dell’area, il cosiddetto Krishna’s butterball, cioè la palla di burro di Krishna.
Si tratta di un masso gigantesco, alto 6 metri, largo 5 e pesante 250 tonnellate. Pende da un piccolo declivio e sembra essere sul punto di rotolare giù, ma si è rivelato impossibile da spostare! Gli indiani non sanno darsi una spiegazione di come la roccia si mantenga in equilibrio, quindi, con la loro ricca immaginazione, hanno creato una serie di miti e teorie divertentissimi.
C’è chi la chiama la “pietra del dio del cielo” e sostiene che siano stati gli dei a posizionarla là, per dimostrare agli uomini la grandezza del loro potere; c’è poi chi sostiene che siano stati gli extraterrestri a portarla; una guida locale, infine, un giorno ipotizzò che si trattasse di una pallina di burro che Krishna, da piccolo, ha lascato cadere per sbaglio. Il dio era infatti solito rubare il burro, di cui era ghiotto, dalla scodella dove sua madre lo teneva. Da allora, tutti hanno iniziato a chiamarlo in questo modo.
La fama del masso si è accresciuta col tempo, a causa di due tentativi falliti di rimuoverlo: il primo nel VII secolo d.c., quando il re pallava Narasimhavarman voleva spostarlo per metterlo in salvo dagli scultori della zona; il secondo nel 1908, quando il governatore di Chennai (all’epoca Madras) tentò di rimuoverlo per salvare la città da un possibile cedimento. Portò un esercito di uomini ed elefanti per trascinarlo a valle, ma il masso non volle spostarsi di un centimetro. Oggi il sasso è l’attrazione principale di Mamallapuram Hill.
Ricorda il sito birmano della Golden Rock, con l’altare buddista costruito su un masso in equilibrio precario. Anche questo sembra sfidare le leggi della fisica e infatti ha ispirato la leggenda secondo cui un capello di Buddha, posto al di sotto della roccia, le impedirebbe di rotolare a valle. Ma il clima che circonda il sito non potrebbe essere più diverso: al misticismo delle preghiere buddiste birmane, qui si contrappongono gruppi di bambini scalmanati che usano la discesa al lato del masso come fosse uno scivolo!
L’India è uno dei paesi più giovani e prolifico del mondo. Non andateci se non volete sentirvi vecchi, non andateci se non amate il chiasso e le risate delle marachelle dei bambini.
Un signore anziano, che cammina con un elegante bastone di legno, mi si avvicina e sfoggia il suo miglior sorriso. “Non puoi capire il valore della Grotta di Varaha senza una guida”, mi dice con solennità. “Io parlo un ottimo inglese e so tutto della sua storia”, mi assicura in un inglese a malapena comprensibile.
Più per godere della sua compagnia e del suo sguardo antico che per la fiducia nelle sue doti di declamatore storico, decido di assoldarlo. “Ci vorrà almeno un’ora”, annuncia con la stessa solennità. “Ma non ho più di mezz’ora!”, rispondo io.
“Mezz’ora è un tempo più che sufficiente!”, risponde lui.
Ho già capito l’andazzo…
Il vecchietto mi spiega che si tratta di un tempio scavato nella roccia e dedicato ad uno degli avatar di Visnu: si prolunga in infinite spiegazioni sui diversi gradi di parentela tra le divinità, poi illustra le storie che trovo raffigurate sui bassorilievi e rievoca aneddoti del tutto privi di senso.
L’induismo, con le sue mille divinità e infiniti racconti epici, sfugge alla mia capacità di comprensione. Dovrò visitare tanti altri templi e ascoltare gli aneddoti ancora molte volte prima di superare questa sensazione di spaesamento. Per ora mi limito ad annuire e a rimanere stregato dagli occhi ipnotici del simpatico vecchietto.
A pochi metri di distanza, c’è il meraviglioso Arjuna’s Penance, o Discesa del Gange. È impossibile non rimanere colpiti dalle dimensioni di queste due grandi lastre di pietra, che sono una delle opere d’arte antica più importanti dell’India. Anche in questo caso, la fervida immaginazione indiana consente all’opera di avere due diverse interpretazioni, entrambe valide.
Secondo la prima, il bassorilievo rappresenta la discesa sulla terra della Dea del fiume Gange, resa possibile dalla ferrea penitenza del saggio Bagiratha, che medita; nella seconda versione, invece, le figure rappresentano il digiuno dell’eroe Arjuna per ottenere da Shiva il dono di un’arma invincibile. In un angolo dell’opera, si può vedere un gatto che imita la penitenza dell’eroe/saggio davanti ad un pubblico di topi. Un pizzico di umorismo non guasta mai.
Saluto il vecchietto chiacchierone che si è prestato a farmi da guida e gli scatto un’ultima foto. Anche lui è un’opera d’arte ai miei occhi.
È pomeriggio inoltrato ormai, il momento migliore per visitare i Five Rathas e lo Shore Temple. I Rathas sono 5 templi scavati nella roccia, rimasti sepolti sotto la sabbia per secoli e riportati alla luce dagli inglesi nel diciannovesimo secolo.
Ogni tempio è dedicato a uno dei fratelli Pandava, eroi di un antico poema epico, e alla loro sposa comune Draupadi. Forse questi templi, di dimensioni assai ridotte, erano dei modelli per strutture da costruire altrove.
Intorno ai 5 templi, la folla di visitatori rende quasi impossibile scattare una foto. Perdo subito la speranza di farlo escludendo le persone. E qui capita l’inverosimile! Invece di scansarsi per lasciarmi fare le foto ai templi, famiglie intere si radunano davanti all’obiettivo, mettendosi in posa e lasciandosi immortalare!
I genitori, orgogliosi dei loro bellissimi bambini, mi chiedono di fotografarli e quando notano il nonno o la zia che non è entrata nella foto, si stringono più stretti e mi chiedono di ripetere lo scatto! Poi ci scambiamo i contatti instagram con la promessa di inviarci le foto.
Ripeto: come si fa a non amare l’India?
Il sole si sta sciogliendo nell’oceano quando arrivo all’ultima tappa del mio giro, lo Shore Temple. Il guardiano inizia a chiedere ai turisti di lasciare il sito, per chiuderlo. Ho pochi minuti e cerco di sfruttarli al massimo.
Il Tempio sulla spiaggia si trova all’interno del golfo del Bengala ed è il primo tempio non scavato nella roccia di tutto il Tamil Nadu. Eretto in massi di granito, ha sculture e torri di ottima fattura, che però sembrano essersi sciolte con il passare del tempo.
“Il tempio risale all’VIII secolo”, mi spiega il mio autista Pandiyan. “Faceva parte di un complesso più ampio che poi è stato sommerso dalle acque per secoli. Lo tsunami del 2004 ha colpito anche quest’area. Ha danneggiato in parte il tempio ma ha anche fatto riemergere i resti degli edifici limitrofi”.
È ora di uscire, il sito sta per chiudere. Con la testa stordita dal caldo e dai tanti sorrisi ricevuti, torno in albergo con la sensazione che il Tamil Nadu sia puro distillato di vitalità e sole.
PS: Visitare Mamallapuram a dicembre-gennaio non consente solo di godersi un caldo non troppo torrido, ma anche di assistere anche all’Indian Dance Festival.
Grazie 🙏 Non mancherò di visitare questo luogo incredibile! ❤
Ho visto la galleria fotografica: la donna col bambino in braccio è un incanto, sembra una Madonna. La più poetica in assoluto, per come tocca le corde del cuore: l’uomo che prega con il cane in attesa o forse…in preghiera anch’esso 🙂 BELLISSIMI RITRATTI DI UOMINI E LUOGHI. CHAPEAU!
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4 Comments
splendido!
Bisogna propio dire che l’India è una meta imperdibile, un grande gioiello con la sua gente e i suoi colori. Stupendo!!!!