“Mi hai stretto la mano. Ti hanno visto tutti!! Adesso compri la capra o chiamo le guardie!”
Nelle vicinanze della millenaria città di Harar si tiene il mercato dei dromedari di Babile. Non so cosa aspettarmi dall’evento, ma il mio amico Johnny mi assicura che è pittoresco e si raccomanda di essere cauto nel fotografare i cammelli. “Sono molto gelosi delle loro bestie e alcuni potrebbero arrabbiarsi se ci vedono fotografarle.”
In Etiopia scattare una fotografia è sempre un azzardo: a seconda delle credenze religiose delle diverse tribù, le reazioni alla macchina fotografica sono contrapposte.
A volte si possono incontrare persone ben disposte a farsi fotografare (alcune posano ostentatamente divertendosi a fingersi divi del cinema); altre volte le persone si arrabbiano, ti inseguono e ti lasciano andare solo dopo aver controllato che le foto siano state cancellate. Credono che nella foto resti qualcosa della loro anima e non vogliono lasciarla ad un estraneo.
A Babile si accede da una strada romana, residuo dell’impresa coloniale mussoliniana. Le baracche, a contrasto con i sampietrini, rendono l’atmosfera accattivante e decadente.
Per arrivare al mercato, si attraversa il villaggio: la strada torna sterrata, di colore rossiccio, ed è come entrare nelle case e spiare la vita privata delle persone, dal momento che svolgono all’aperto tutte quelle attività che noi releghiamo tra le mura domestiche.
Piuttosto che sentirsi invasi, ci accolgono con curiosità. Bambini vivaci e allegri iniziano a seguirci: ridono di continuo e le macchine fotografiche li mandano in delirio. Continuiamo a scattare foto e a mostrargliele. Ridono sempre più forte, la loro felicità è contagiosa e fa radunare intorno a noi sempre più bambini. Dalle case vicine è un continuo affacciarsi e salutarci.
Raggiungiamo il mercato dei dromedari e l’atmosfera cambia radicalmente. Gli animali sono raggruppati sul dorso di una collina.
Se qualche esemplare si impigrisce e si siede, viene subito ‘invitato’ col bastone a tornare in piedi. Ci sono centinaia di dromedari, tutti mansueti e silenziosi. Si cercano tra membri dello stesso branco e non si mischiano mai gruppi diversi. Le contrattazioni avvengono in una tenda separata, dove non ci è consentito avvicinarsi.
L’atmosfera è particolare: ci è consentito girare per il mercato, ma le fotografie sono a mala pena tollerate. Incontro due signori che hanno camminato con noi per il villaggio. Sicuro della confidenza raggiunta, li fotografo sorridendo. Per poco non vengo preso a bastonate.
In un piazzale adiacente, si svolge il mercato degli ovini. Uomini e donne contrattano animatamente. La mia amica Barbara viene avvicinata da un anziano, che le sorride e le stringe la mano. Poi le consegna una capretta al guinzaglio e inizia a gesticolare con veemenza. Provvidenziale, l’intervento di una guida turistica che ci spiega cosa sta succedendo.
“Poco fa ti ha stretto la mano?”. “Sì, si è avvicinato e mi ha stretto la mano”, risponde Barbara. “La stretta di mano convalida l’acquisto. Hai appena comprato la sua capra e vuole essere pagato“.
“Ma non ho spazio per una capra a Milano!”. L’uomo continua a blaterare. “Dice che non gli importa: puoi cucinarla stasera e offrirla ai tuoi amici!”
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2 Comments
Grazie infinite di condividere e far conoscere tutto ciò.
Davvero prezioso.
Quanto mi piacerebbe tornare in Etiopia…bellissime foto e racconto