Il Chinggis Khan Museum è il più bel museo di Ulan Bator. Moderno, ben pensato ed elegante offre ai visitatori la migliore esperienza possibile ed un excursus storico del paese che va dalla preistoria ai giorni nostri. Se avete i tempi stretti e potete vedere solo un museo durante il vostro viaggio in Mongolia, assicuratevi che sia questo.
Aperto nel 2022, il Chinggis Khan Museum raccoglie oltre 12.000 reperti prima stipati negli archivi di stato o in mostra in Russia e Stati Uniti e si pregia di essere la più completa rassegna dell’impero di Gengis Khan e di quelli successivi. L’edificio si sviluppa su 6 piani, collegati da scale mobili e ascensori, e richiede una visita di non meno di 3 ore. Credetemi, le vale tutte!
Vista la recente apertura, circolano ancora poche notizie sul Chinggis Khan Museum. Della sua esistenza non si fa menzione nemmeno sulla Lonely Planet, la cui ultima versione italiana risale a 2018. Per questo, ho deciso di trattare l’argomento in maniera dettagliata, soprattutto per convincere i dubbiosi a dedicargli il tempo necessario.
Di seguito raccolgo le informazioni che sono riuscito ad annotare durante la mia visita: nulla di esaustivo o organico, appunti che spero troverete interessanti.
L’edificio che ospita questo splendido museo in passato era dedicato al Museo di Storia Naturale e prima ancora era stato il Museo Nazionale.
Danneggiato dall’uso e dal tempo, fu interamente ristrutturato 8 anni fa e finalmente destinato a celebrare la memoria del più grande eroe mongolo.
A differenza degli altri musei mongoli, qui non si possono scattare foto all’interno, nemmeno pagando un sovrapprezzo. Le uniche foto che circolano sono, non a caso, quelle della strepitosa facciata esterna, con il portale dorato, e della scalinata interna che collega il primo piano al piano terra, dove è situata la biglietteria, il guardaroba e un bar.
Consiglio di lasciare zaini e fotocamere negli armadietti custoditi: non fatevene carico durante la visita, vi stanchereste inutilmente.
È, dal mio punto di vista, essenziale avere con voi una brava guida che parli un buon inglese e capace di aiutarvi a collegare le varie epoche storiche mongole e a indirizzare la vostra attenzione sui reperti più significativi.
Io ho avuto la fortuna di essere guidato da Sanjaa, un uomo di straordinaria cultura fornitomi da Wonder Tours & expeditions of Mongolia, un tour operator del quale posso solo dire il meglio in base alla mia esperienza personale.
I sei piani su cui si sviluppa il museo richiedono dalle 3 alle 5 ore di visita ma valgono davvero la pena. L’excursus storico parte dalla preistoria fino ai giorni nostri, con i reperti collocati in ordine cronologico che regalano un viaggio nelle vicende più importanti del popolo mongolo.
Al primo piano, sono collezionati i ritrovamenti databili dall’età del ferro (3.000 anni fa), per lo più steli e tombe con lastre, e si ripercorre la storia della Mongolia fino al 5 secolo d.C.
Interessante lo spazio riservato al primo imperatore mongolo Hon (terzo secolo a.C.): le pratiche funebri, le tecniche di realizzazione di gioielli, decorazioni per cavalli, tessuti in pelle e seta.
Tra i decori ricorrono disegni di cervi e lupi, che simboleggiano rispettivamente la madre e il padre. Il Sole e luna rappresentano invece il ciclo della vita.
Seguono i reperti del secondo impero mongolo,che fa capo alle tribù dei Chuchan.
Al Secondo piano sono visibili i reperti dell’impero turco (552-745 dc), tra cui gioielli, strumenti musicali, archi e frecce, di nuovo decorazioni x cavalli (a quanto pare i mongoli amavano ingioiellare i loro fidati destrieri!).
Molte statue dell’epoca hanno le teste tagliate, perché gli Uyghur (o Uiguri), che successero ai turchi e regnarono tra il 744-840, decapitarono le statue per cancellarne la memoria. Interessanti i reperti della tomba di Shoroon Bumbagar.
Seguono i resti della dinastia Khitai, che regnarono tra il X e il XII secolo.
Al Terzo piano fa la sua comparsa l’impero mongolo di Genghis Khan, che regna dal 1206-1260. In realtà, i mongoli lo chiamano Chinggis Khan, noi lo abbiamo sempre trascritto e pronunciato nel modo sbagliato.
La presenza di una guida diventa da questo momento essenziale per non trovarsi immersi in una grande quantità di oggetti e reperti di cui si faticherebbe a distinguere le caratteristiche specifiche.
Da come parla Sanjaa, comprendo che la Mongolia attuale si riconosce culturalmente e etnicamente principalmente con le tribù da cui proviene Genghis Khan, che sono originarie dell’area vicina all’attuale Ulan Bator (molto meno con le altre, soprattutto con i Manciuri, che considerano cinesi).
Una sezione del piano è dedicata alle armi utilizzate in questo periodo e alle innovazioni belliche che consentirono a Genghis Khan di creare il secondo impero più grande della storia. Pensate che si estendeva dalla Corasmia alla Korea, su una superifcie di 24 milioni di km2, con una popolazione di oltre 100 milioni di persone.
Sanjaa mi spiega che Genghis Khan aveva una strategia di guerra precisa:
1. Propaganda: Genghis Khan inviava degli infiltrati nei luoghi che voleva attaccare, con il solo scopo di spaventare la popolazione. I suoi messi descrivevano i mongoli come un popolo di pazzi spietati, dalla ferocia disumana, con i quali era meglio non avere a che fare. L’effetto prodotto da questa tecnica di manipolazione psicologica fu che la maggioranza delle città si arrendeva senza combattere. In caso di resa, Genghis Khan garantiva infatti l’incolumità. Le città che non si arrendevano, al contrario, venivano rase al suolo. Si lasciava solo una piccola percentuale di sopravvissuti, affinchè spargessero la voce sull’accaduto, divenendo inconsapevoli strumenti della macchina propagandistica mongola.
2. Guerra biologica: i mongoli lanciavano cadaveri in putrefazione oltre le mura delle cittadine sotto assedio. Questo facilitava la diffusione di malattie e decimava la popolazione assediata. Nel museo si possono ammirare le innovative catapulte progettate dai mongoli.
3. Tecnologia bellica: Genghis Khan inventò nuovi strumenti bellici. Le spade, ad esempio, non erano progettate per tagliare (immaginate che i soldati mongoli combattevano a cavallo) ma come oggetti contundenti con cui rompere le clavicole degli avversari e quindi impedirgli l’uso delle braccia; i cavalli erano così centrali nello stile bellico mongolo, che i combattenti disponevano di cavalli di riserva. Ma la novità assoluta fu la creazione di archi di dimensioni ridotte, leggeri e poco ingombranti, utilizzabili senza bisogno di scendere da cavallo. Realizzati in ossi ricoperti di strisce di pelle di cavallo, erano però adatti solo ai climi secchi mongoli, mentre non riuscivano a tendersi correttamente in caso di eccessiva umidità.
Al quarto piano si trovano i reperti che vanno dal 13° al 15° secolo.
Una sezione è dedicata ai reperti dell’epoca di Kublai Khan, nipote di Genghis. Siamo nel periodo storico in cui visse il nostro Marco Polo. La capitale dell’impero era stata spostata a Pechino. Per alcuni questa scelta rivela la mentalità cosmopolita di Kublai Khan, altri ritengono fosse un tradimento ai valori mongoli. In realtà, la vecchia capitale era isolata, in mezzo alle steppe, e poco collegata al resto delle terre imperiali. Pechino era decisamente più centrale e adatta allo scopo. I reperti mostrano la sofisticatezza dei costumi dell’epoca e il plastico con la ricostruzione del palazzo d’estate è notevole.
Sotto Kublai Khan, la Mongolia tentò 2 volte l’invasione del Giappone ma con scarso successo. Non essendo un popolo di marinai, i mongoli si imbarcarono su navi merci poco performanti in guerra e furono respinti duramente. Tentarono nuovamente, dopo essersi equipaggiati con navi da guerra, ma un terremoto fortissimo cui seguì uno tsunami decimò l’esercito.
Successivamente, l’impero iniziò a disgregarsi e finì irrimediabilmente sotto il controllo cinese. Come mostrano i ritrovamenti, i khan mongoli si successero velocemente, spesso assassinandosi tra loro.
Al quinto piano sono raccolti oggetti che vanno dal 15° al 20° secolo e che risalgono alla dominazione dei Manciuri in Mongolia.
Nel 1600 i cinesi introdussero il buddismo in Mongolia, con lo scopo di domarne lo spirito bellicoso. La conversione ebbe uno straordinario successo e il territorio mongolo cambiò volto, trasformandosi in un giardino fiorito di monasteri.
Nel 1700, quando i Manciuri conquistarono la Cina, presero anche il controllo della Mongolia interna e esterna. Le tribù mongole occidentali, chiamate Dzungar Khanate, riuscirono a resistere a lungo, dando vita ad una guerra sanguinosa che durò 70 anni. Stremati dalle continue rappresaglie, i Manciu risolsero il problema alla radice, attuando un genocidio programmatico che mietè l’80% della popolazione, circa 800.000 vittime.
La Mongolia sotto i Manciù mantenne comunque una legislazione autonoma, guidata da un leader scelto dai Manciù trai monaci tibetani. Zanabar, il primo Jebtsundamba Khutuktu del paese, è un sacerdote-sovrano che riuniva in sé sia il potere spirituale sia quello temporale. Considerato una sorta di Michelangelo mongolo, grande artista e intellettuale, Zanabar è anche il creatore del Sojombo (o Soyomb), un simbolo tutt’oggi così amato da essere raffigurato sulla bandiera mongola.
Sanjaa ne spiega il significato, lasciandomi senza parole.
In alto è una fiamma con 3 punte, che simboleggia presente passato e futuro. Subito sotto sono raffigurati il sole e la luna, simboli dell’alternanza di vita e morte; scendendo ancora, si trova il simbolo dello yin e yan, rappresentazione dell’uomo e della donna, che sono uguali (le due barre orizzontali poste sopra e sotto esprimono proprio questo). Il popolo mongolo si fonda su questa uguaglianza. Ai lati ci sono due elementi verticali che rappresentano la necessità di difendersi contro i nemici, mentre le 2 punte di freccia indicano la capacità dei mongoli di difendere la patria.
Durante periodo sovietico, il Sojombo era sovrastato da una stella, simbolo del comunismo, oggi rimossa.
Il sesto piano è dedicato alla “Mongolia e il resto del mondo”.
Qui vi sono raccolti documenti e reperti non più collegati a livello cronologico, ma tematico. Si tratta di una celebrazione degli avanzamenti tecnico-culturali che il paese ha apportato al mondo: le innovative tattiche di guerra mongola, l’invidiabile livello di sicurezza sociale raggiunto durante la cosidetta pax mongolica e i contributi religiosi della Mongolia al buddismo.
Al termine della visita del Chinggis Khan Museum, tra reperti, modelli e audiovisivi, avrete la sensazione di aver vissuto sulla vostra pelle l’intero arco storico mongolo. Il tempo vola passeggiando tra un piano e l’altro, anche per chi di solito si annoia a visitare i musei.