Se state per partire per l’Uzbekistan, non potete prescindere da qualche nozione sulla storia e la società di questo splendido paese.
Prima di intraprendere il mio viaggio in Uzbekistan, non ho solo raccolto tutte le informazioni necessarie per capire come vestirmi, dove dormire e cosa mangiare, ma ho anche spulciato moltissimo materiale storico e socio-politico dalle fonti più disparate, per comprendere meglio il clima culturale del paese. Qui di seguito riporto il frutto delle mie ricerche, a cui ho cercato di dare forma organica, sperando di risparmiarvi un po’ di tempo e fatica.
Inizio col rassicurarvi: anche chi di solito non si interessa alle vicende storiche di un paese si appassionerà leggendo le alterne fortune dell’Uzbekistan. Il paese ha trascorsi così cruenti da far impallidire gli sceneggiatori di Game of Thrones.
L’Uzbekistan è uno dei più antichi territori abitati dall’uomo. I primi resti umani rinvenuti qui sono infatti datati circa 40.000 anni fa. Non solo. Sembra che sia anche la patria dell’Urheimat, ossia la lingua originaria di tutte gli idiomi indoeuropei. I primi a divenire stanziali nell’area furono gli Indoari, che arrivarono qui nel 2200 a.c. per poi migrare in India; da quel momento, furono le popolazioni iraniche dei Sogdiani e Battriani ad insediarvisi. A loro si deve la diffusione dello Zoroastrismo, la più antica religione monoteistica del mondo: basata sugli insegnamenti del profeta Zarathustra e risalente al VI secolo a.c., questo credo dominerà incontrastato in tutta l’Asia centrale fino al VII secolo d.c., quando verrà soppiantato dall’Islam. Lo Zoroastrismo venera Mazda, unico Dio creatore del mondo sensibile e sovrasensibile. Nodo centrale del culto è la lotta tra Bene e Male. Durante la creazione universale, infatti, Mazda, che è Luce e Amore, ha creato anche Arimane, il dio della distruzione e della morte. All’uomo spetta il compito di scegliere tra le due polarità, tramite le proprie scelte di vita, e dovrà renderne conto alla fine dei tempi, nel giorno del Giudizio Universale. Gli uomini retti andranno in Paradiso, i disonesti all’Inferno. In ogni caso, Mazda non lascerà che il Male distrugga il creato e invierà sulla terra un Messiah, nato da una vergine, a condurre le milizie del Bene alla vittoria finale. Non sono ancora chiare le influenze che lo Zoroastrismo possa aver esercitato sull’Ebraismo, e di riflesso sul Cristianesimo, ma accipicchia quante sovrapposizioni!
Nel IV secolo a.c. l’area viene sconvolta dal passaggio di Alessandro Magno, che conquistò facilmente la Sogdiana e la Battriana, espugnò Samarcanda e Tashkent, per poi proseguire nella sua campagna di conquista verso l’India. Sposò Rossane, la figlia del capo battriano Ossiarte, e sigillò la nuova alleanza promuovendo le nozze di Susa, durante le quali 1.000 soldati greci sposarono altrettante donne orientali. Provate ad immaginate la scena: 1.000 giovani vergini di lingua e cultura asiatica, costrette a sposare i soldati che hanno messo a ferro e fuoco le loro terre. Immaginate l’odio e il risentimento che possono aver covato in seno. E le difficoltà a comunicare con i loro prescelti mariti, con i quali non condividono né lingua né tradizioni.
Alla morte di Alessandro Magno, dopo diverse vicissitudini, l’area trova un momento di stabilità sotto l’impero Kusana, fondato dalla tribù degli Yuezhi. Grazie a loro, tra il I e il III secolo d.c., l’Asia minore divenne crocevia di intensi scambi commerciali e culturali tra Oriente e Occidente, grazie ad un fitto reticolo di itinerari terrestri e marittimi, esteso più di 8.000 km, che oggi è famoso con il nome di Via della Seta. Il cuore di questi traffici furono le città cosmopolite di Bukhara e Samarcanda, che raggiunsero una clamorosa ricchezza. Vi arrivavano mercanti, pellegrini e diplomatici e qui si scambiavano merci, idee, tecnologie.
La seta non fu l’unica merce ad essere trasportata dalla Cina, ma era di sicuro la più comoda da gestire, per via delle dimensioni e del peso ridotto. Intensi scambi commerciali riguardavano anche la carta, la porcellana, il tè e lo zenzero, gemme e profumi. In cambio, l’impero celeste accettava cavalli, oro, argento e pietre preziose, oltre al vetro, di cui i cinesi ignoravano la tecnica produttiva.
Quasi nessuno percorreva gli itinerari per intero: i più si fermavano a metà strada, a Bukhara, a Samarcanda, o lungo i caravanserragli, che fornivano ai viandanti alloggio e ristoro.
È interessante notare che, se le merci transitavano per lo più verso ovest, le idee religiose percorrevano la direzione contraria. Grazie alla via della seta, il buddismo si diffuse dall’India alla Cina. Lo scambio di tecnologie fu invece biunivoco. I cinesi appresero come produrre il vetro, il vino e la cotta di maglia e, di contro, insegnarono ai paesi dell’Asia centrale a forgiare il ferro e a fabbricare la carta. Non a caso, quando i Sogdiani si convertirono all’Islam, nel VIII secolo d.c., fecero di Samarcanda il primo centro di produzione di carta del mondo musulmano, con lo scopo di diffondere il Corano.
Nel secolo VIII, gli Arabi si impadronirono dell’area, affermando con forza l’Islam su popoli che fino ad allora avevano praticato lo Zoroastrismo. La conversione fu tutt’altro che spontanea e pacifica. Sotto il Califfato Abbaside, numerose rivolte si diffusero nell’area per tutto il 700, ma vennero sedate nel sangue.
Oltre ad imporre definitivamente l’orientamento religioso alle popolazioni dell’Asia centrale, il Califfato Abbaside ci ha lasciato un grande sviluppo nell’ambito scientifico. Dal 700 al 850, la scienza arabo-musulmana abbaside raggiunse il suo apice: gran parte dei libri scritti in greco furono tradotti in arabo e ne usufruirono studiosi importanti come il matematico Al-Khwarismi, nato a Khiva, e l’astronomo Al-Farghani, di Ferghana.
Nell’800 la dinastia persiana dei Samanidi riuscì a riconquistare il potere agli arabi. Nel 900, l’egemonia passò ai turchi Karakhanidi, che regnarono fino al 1200 e si convertirono definitivamente all’Islam. Con buona pace del Zoroastrismo.
Dominatore assoluto del popolo dei mongoli, Gengis Khan, con la sua orda di 200.000 soldati, riuscì in soli 15 anni di guerra a occupare tutta la Cina, la Russia e tutta l’Asia centrale. Quando, nel 1220, i Mongoli invasero l’odierno Uzbekistan, rasero al suolo Samarcanda, Tashkent e Bukhara.
I suoi soldati furono lasciati liberi di stuprare e saccheggiare, i suoi cavalli calpestarono i libri sacri dell’Islam e Gengis Khan salì sul pulpito della moschea principale e gridò, ad una folla terrorizzata: ‘Io sono il castigo di Dio per i vostri peccati’. Questo evento plateale giunse alle orecchie degli Europei, che iniziarono a raffigurarsi il capo mongolo come l’incarnazione stessa dell’Anticristo. In vero, nonostante la sua crudeltà e freddezza, Gengis Khan non portò la guerra nel mondo per motivi religiosi, né per smania di potenza personale. I nomadi avevano un continuo bisogno di nuovi pascoli per sopravvivere. Quando, nel 1206, i clan delle tribù nomadi lo elessero Khan supremo, si dedicò ad una efficace riorganizzazione dell’esercito basta sul sistema decimale. Creò il Touman, una unità di ben 10.000 guerrieri, tutti sottoposti ad un controllo e ad una disciplina mai visti prima e dei quali Gengis Khan poteva disporre come meglio credeva . L’orda di Gengis Khan era semplicemente imbattibile, per numero e strategia bellica. Alla sua morte, il suo immenso impero venne diviso tra i quattro figli e si frammentò gradualmente.
Marco Polo fu un mercante, viaggiatore e scrittore veneziano che visse a cavallo tra il 1200 e il 1300. Nato da una famiglia patrizia di viaggiatori e commercianti, si mise con il padre e lo zio sulle rotte della via della seta e la percorsero interamente, fino a Pechino. Quando partirono era ancora un ragazzino, ma ebbe il merito di descrivere dettagliatamente le sue esperienze di viaggio. La sua opera Il Milione è una vera enciclopedia di tutte le conoscenze geografiche disponibili all’epoca e divenne un testo fondamentale per chiunque intendesse intraprendere viaggi.
Una volta giunto a Pechino, conquistò i favori di Kubilai Khan, che lo nominò suo ambasciatore. Grazie a questo incaricò fu inviato in Yunnan, Birmania, Tibet e India. Tornò a Venezia 24 anni dopo essere partito e i parenti stentarono a riconoscerlo. Continuò a commerciare e divenne ricco e famoso.
Morì a 70 anni, in casa, confortato dall’affetto dei suoi cari. Ogni tanto ci vuole una storia che finisce bene.
Nato nelle vicinanze di Samarcanda e di origini turco-mongole, Tamerlano vantava di essere discendente di Gengis Khan. Con lui condivideva l’intento di costruire un grande impero, la capacità di controllare un esercito sterminato, la ferocia e la crudeltà con le quali distruggeva le milizie avversarie; ma, a differenza dell’avo, aveva a cuore le arti, la scienza e la cultura. Eletto grande emiro di Samarcanda nel 1369, la fece risorgere dalle ceneri della distruzione a cui Gengis Khan l’aveva destinata un secolo prima e vi fece confluire tutti gli artisti e gli artigiani catturati in guerra, oltre a studiosi e letterati. Attraverso una serie di rapide campagne belliche, riuscì a conquistare l’Iran, la Mesopotamia, l’India, parte della Russia e della Cina e a riunificare gli stati dell’Asia centrale (Kazakhstan, Uzbekistan, Turkmenistan e Kirghizistan).
Ancora oggi, il nome di Tamerlano è osannato dalle popolazioni turco-mongole e gli viene riconosciuta un’importanza simile a quella che noi occidentali diamo ad Alessandro Magno. Allo stesso tempo, non si può trascurare la sua follia distruttrice. Sentendosi insignito di una missione di fede, Tamerlano rase completamente al suolo città di fede diversa da quella islamica e la sua furia colpì fiorenti città in Russia, in India, in Cina e anche nel bacino del mediterraneo.
Tamerlano era zoppo sin dalla giovane età, per una grave ferita ricevuta alla gamba. Eppure, era sempre presente sul campo di battaglia, trasportato dai suoi soldati. Un dato, questo, confermato dall’esumazione delle sue spoglie e che ribadisce la straordinaria caparbietà del personaggio, legittimandone ulteriormente il mito.
Oggi i suoi resti sono conservati nel mausoleo di Gur-e Amir, a Samarcanda.
Quando i Russi si interessarono ai territori dell’attuale Uzbekistan, nella seconda metà dell’ottocento, l’area risultava divisa nei Khanati di Khiva, Bukhara e Kokand. Nel 1920, dopo decenni di continui conflitti e tentativi di ribellione, i tre khanati furono definitivamente incorporati nel Turkestan.
Le autorità del governo centrale spinsero da subito affinché fossero introdotte
l’uso della lingua russa e la coltivazione intensiva del cotone. Furono costruite infrastrutture e ferrovie per facilitare il commercio, si svilupparono industrie e si costruirono scuole, con un miglioramento notevole delle condizioni socio-economiche dell’area.
Nel 1924, nasce la Repubblica Socialista Sovietica dell’Uzbekistan, in base ad una ripartizione etnica della popolazione operata da Joseph Stalin.
Il Regime Sovietico temeva che l’Islam potesse dar vita a forme di opposizione politica, quindi lo attaccò violentemente con lo scopo di eradicarlo. Negli anni ’20 furono banditi il digiuno durante il Ramadan e il pellegrinaggio alla Mecca. Furono proibiti i matrimoni in età infantile, la poligamia e l’uso del velo, oltre alla scrittura araba e la lettura del Corano.
Tra il 1932 e il 1938, Stalin promosse in Asia centrale una feroce campagna antireligiosa, chiamata “Movimento degli atei”. La maggior parte delle moschee vennero chiuse, i sacerdoti furono inviati ai gulag e i funzionari statali e gli attivisti musulmani furono giustiziati. I luoghi di culto vennero sequestrati e trasformati in musei, sale da ballo, magazzini e fabbriche.
Come risultato di questa laicizzazione forzata, nel 1960 quasi nessuna donna uzbeka indossava il chador e tutte le ragazze conseguivano lo stesso livello di istruzione dei ragazzi.
Nel 1991, con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, l’Uzbekistan divenne uno stato pienamente indipendente. Governato fino al 2016 dal presidente autoritario Karimov, ha faticato a trovare una propria identità democratica. Karimov infatti ha annientato ogni possibilità di opposizione politica ed esercitato un controllo totale sui mezzi di informazione. Ha combattuto fortemente qualsiasi forma di estremismo islamico, innescando una serie di reazioni a carattere terroristico, come l’attentato di Tashkent del 1999. La sua politica economica si è dimostrata altrettanto reazionaria, impedendo ogni forma di privatizzazione e liberalizzazione dell’economia.
Alla morte di Karimov, nel 2016, è stato eletto presidente Mirziyoyev, che ha allentato i metodi autoritari del suo predecessore, aprendo all’economia di mercato e concedendo maggior spazio ai partiti islamici.
L’Uzbekistan ha il patrimonio architettonico più affascinate dell’Asia Centrale. Lungo la via della seta, ai confini dei grandi imperi, sono confluite influenze artistiche tra le più disparate, come quelle iraniane, greche e indiane. Purtroppo a causa della furia distruttrice di Gengis Khan e di altri invasori, poco rimane ai giorni nostri dell’epoca pre-islamica. La maggior parte dei beni architettonici centro-asiatici che possiamo ammirare oggi risale all’epoca timuride. A differenza di Gengis Khan, infatti, Tamerlano aveva un senso artistico sopraffino. Durante le sue cruente spedizioni militari, fece prigionieri artisti ed artigiani, li deportò in Asia centrale e li utilizzò per ricostruire le città distrutte dall’avo mongolo. È solo grazie al loro intenso lavoro che oggi possiamo apprezzare lo stile unico di città come Bukhara, Khiva e Samarcanda, con le loro cupole turchesi, i monumentali portoni di ingresso ad arco, i minareti affusolati e l’esuberanza decorativa delle piastrelle colorate.
Naturalmente, lo stile degli edifici dipese anche da fattori ambientali. Il legno e la pietra scarseggiano in tuta l’area, quindi le costruzioni sono realizzate in mattoni. I pishtak, portali di ingresso ad arco, avevano anche la funzione di convogliare l’aria all’interno degli edifici, abbassando le temperature degli interni e mitigando le alte temperature estive. Al contempo, all’interno dei cortili, erano costruite delle piattaforme in mattoni, per montare le yurte dei khan nei mesi invernali e garantire la massima esposizione al sole.