“Abbiamo investito un bambino con la macchina la settimana scorsa. I turisti che trasportavo si sono arrabbiati con me perché non ci siamo fermati a soccorrerlo. Voi non capite l’Africa. Pensate di essere ancora in Europa.”
Quando arrivi in Dancalia, se decidi di avventurarti nelle zone di confine con l’Eritrea, lo stato ti impone due guardie armate, per motivi di sicurezza. Almeno fino a poche settimane fa, quando le tensioni tra i due paesi sono state finalmente risolte. Le nostre guardie sono sui venti anni e non parlano una parola di inglese. Ci guardano come bestiame da custodire e le loro armi ci ricordano in ogni istante che è meglio non allontanarci troppo.
“Un turista l’anno scorso è morto qui vicino ma non voglio dirti dove”, mi dice il mio amico Johnny mentre ci avviciniamo al vulcano Erta Ale, nella speranza di vedere la lava ribollire nel cratere. “Si era allontanato di notte dal suo gruppo, ha incontrato dei militari che pattugliavano il confine.
Gli hanno chiesto i documenti e questo ragazzo si è spaventato, temendo di essersi imbattuto in dei rapitori. Così, si è voltato di scatto ed è scappato. I poliziotti lo hanno scambiato per un terrorista e gli hanno sparato alle spalle. È stato un incidente”.
Arriviamo sulla bocca del cratere alle 3:00 di mattina. Abbiamo camminato tutta la notte per raggiungere questo posto unico.
Conosciuto come la porta dell’inferno, l’Erta Ale è uno dei vulcani più attivi d’Africa. Situato tra 3 placche tettoniche in allontanamento tra loro, ha un braciere in cui la lava ribolle a cielo aperto.
Purtroppo, al momento della nostra visita, il vulcano fuma. La lava è nascosta dai vapori puzzolenti e velenosi. Si può passeggiare lungo la bocca del cratere, mentre la lava vetrosa scricchiola sotto i piedi. È come camminare su gusci d’uovo, fragili e croccanti. Restiamo a guardare la luce rossa che si diffonde nella notte nera.
Dormiamo nell’avamposto militare situato a pochi metri di distanza, sdraiati per terra in dei piccoli tuguri di pietra. Mi sveglio per un piccolo snack e mi accorgo di avere vicino un topino che mi implora di dividere con lui il mio pasto. All’alba ritentiamo una capatina al cratere, ma il fumo è impietoso.
L’Africa ti fa sentire vecchio. L’Etiopia conta 81 milioni di abitanti, l’età media è 18 anni con 4 figli per ogni donna fertile. A 40 anni si è già nonni. Ed io sono un nonnetto che si fa scortare da due ragazzini armati di kalashnikov.
Gli spostamenti in jeep sono difficoltosi per via della qualità delle strade, dalle 13 alle 16 le temperature raggiungono i 50 gradi e se possibile ci si ferma all’ombra. La maggior parte del viaggio lo si trascorre comunque guidando da un meta all’altra.
Fuori dal finestrino scorre la quotidianità. Quando si attraversa un villaggio, la strada si anima di bambini che pascolano le capre o portano rami secchi sulla testa; uomini e donne che mercanteggiano in strada, ridono e si abbracciano.
Dentro l’abitacolo, cerco di far conversazione con l’autista di turno. Non dimenticherò mai gli occhi di Broke, quando mi racconta che sua figlia mette i soldi da parte per comprare le matite alle sue compagne di scuola. È un cristiano coopto. Soffre nel vedere il suo paese ancora preda della povertà e dell’analfabetismo.
“In Etiopia ci sono 85 tribù, ognuna con storia e tradizioni proprie. Alcune tribù godono di statuti speciali, prendono delle sovvenzioni statali e continuano a vivere seguendo le loro tradizioni. Parliamo 86 lingue diverse. Ogni tribù ha il suo dialetto e poi c’è l’idioma ufficiale diffuso dalla tv. Il governo sta cercando di obbligare le diverse tribù a portare i figli a scuola, ma molti disertano e li mandano a lavorare nei campi o condurre il bestiame”.
È una conversazione intima. Broke e io siamo soli in auto. Sono giorni che abbiamo l’aria condizionata rotta. I miei compagni si sono stretti nelle altre jeep, per fuggire la calura, ma io sono rimasto volentieri con Broke a farmi colpire dal vento bollente che entra dai finestrini aperti. Ho visto che parla un buon inglese e voglio approfittarne per fargli delle domande. Sono così rintontito dal caldo che non capisco se questa conversazione sia reale o frutto di un’allucinazione.
“Mia figlia soffre nel vedere che molte sue amiche non hanno i soldi per quaderni e penne. Usa i suoi risparmi, le paghette che riceve quando svolge una commissione, per comprare matite alle amiche”.
Si vede che è orgoglioso di lei. Prima di partire mi avevano detto di portare penne per i bambini ma solo ora ne capisco appieno il motivo. Avverto quanto Broke abbia a cuore il benessere del suo paese e mi sento vicino a lui, all’Etiopia, all’Africa come mai prima. Mi dice di pregare molto per il suo popolo e di avere fiducia nella volontà del Signore. Io non so credo nel suo Dio, che poi dovrebbe essere per tradizione anche il mio, ma mi sembra di vederlo nelle valli aride tutto intorno a noi.
È notte quando Jimmy, un altro degli autisti, lancia la bomba. “Abbiamo investito un bambino con la jeep la settimana scorsa. I turisti che trasportavo si sono arrabbiati con me perché non ci siamo fermati a soccorrerlo”.
“Che cosa??? Ovvio che si siano arrabbiati!”, risponde la mia amica Barbara. “Voi non capite l’Africa. Pensate di essere ancora in Europa.”, ribatte Jimmy. “Il mio collega ha investito il bambino. Abbiamo accostato e chiamato la polizia. Loro ci hanno detto di correre via il prima possibile.
La tribù locale è pericolosa. Se investi una pecora o un bambino, e ti fermi a soccorrerlo, loro ti aggrediscono e ti uccidono. Hai fatto del male alla loro tribù e devono vendicare il torto subito. Solo così si sentono in pace. Andandocene abbiamo protetto noi stessi e anche i turisti che erano con noi”.
“E il tuo collega che ha investito il bambino?”
“È in galera. Rimarrà là fino alla fine del processo”. Penso alle galere etiopi e mi sento percorrere da brividi. “Spesso passano mesi prima che inizi il processo. Alcuni spariscono in galera prima di potersi difendere”.
È preoccupato, glielo si legge chiaramente in viso. Ripenso a tutte le volte che abbiamo evitato per poco il bestiame che appariva dopo una curva al centro della strada o i bambini che correvano spericolati vicino alle nostre jeep. Guardo Jimmy intento alla guida. C’è scarsissima visibilità. La strada si apre davanti a noi, buia e misteriosa.
Per quanto possa sentirmi un viaggiatore del mondo, Jimmy mi ha ricordato che la maggior parte delle volte sono solo un turista europeo che dà tante, troppe cose per scontate.
È una realtà completamente diversa dalla nostra. Là la vita vale meno di niente
Bellissimo! Ci porta a scoprire realtà così belle a noi inaccessibili. Grazie mille!
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7 Comments
Grazie per queste perle! Ogni volta aprono uno scorcio su un mondo raramente accessibile.
E niente… Adoro tutto quello che scrivi e fotografi! Ciao!