Aperto ai turisti solo di recente, Kakku stupisce con le sue oltre 2.000 pagode disposte in file ordinate. Passeggiando nel labirinto di stupa dalle tonalità sempre diverse, si incontrano centinaia di statue di Buddha, tutti sorridenti di benevolenza. I campanelli appesi alle guglie accompagnano la meditazione dei fedeli.
Visitare il lago Inle è già di per sé un’esperienza che riempie gli occhi e appaga l’animo. Le distese d’acqua calma, i pescatori Intha, gli orti galeggianti, le donne giraffa… Un paio di giorni sul lago Inle incantano il cuore e valgono da soli il costo di un viaggio in Myanmar.
Se il tempo a disposizione lo permette, non ci si deve però far scappare una deviazione ad est fino al villaggio di Taunggyi, posizionato a oltre 1.400 di altezza sul livello del mare e quindi protetto dal caldo umido del resto della regione. Non a caso, Taunggyi era stato scelto dagli inglesi come località in cui venire a refrigerarsi e godersi la vista sul lago Inle; il villaggio è però anche il crocevia di tutti i commerci illegali tra Myanmar e Thailandia, Cina e India, come testimonia il mercato delle gemme.
Se -come mi auguro- non siete in Myanmar per motivi di contrabbando, a Taunggyi vale la pena venire per raggiungere il sito archeologico di Kakku, con i suoi 2.478 stupa disposti in file ordinate e affastellati lungo il crinale di una collina. Lo so, chi visita il Myanmar si abitua ben presto alla sovrabbondanza di stupa, pagode e statuette di Buddha disseminate caoticamente ad ogni angolo di strada.
Eppure Kakku riesce davvero a stupire.
Aperto ai turisti solo dal 2000, è ancora oggi una meta poco battuta e merita la lunga deviazione in autobus o taxi per raggiungerla (circa tre ore dal lago).
All’ingresso del sito mi viene fornita una guida e chiesto di togliermi le scarpe, come accade in tutti i luoghi di culto birmani, per una questione di rispetto. È una giornata nuvolosa, ieri deve aver piovuto molto perché le strade sono ricoperte di fango, come pure i vialetti del sito.
Di solito non sono schizzinoso, ma stavolta ho delle titubanze. Già immagino il momento in cui dovrò rimettere le scarpe, la sensazione dei calzini impiastricciati… Fortunatamente ho il piacere di condividere il viaggio con un’immunologa, che mi si avvicina per darmi coraggio.
“Andrea, fai lavorare il tuo sistema immunitario. Più lo usi più lo rafforzi!”, dice ridendo.
Come controbattere ad una simile affermazione? E poi c’è un tubo d’acqua all’uscita e ci si può lavare dopo la visita.
Mi inoltro nei vicoli di Kakku. Sembra di essere in una foresta di pietra senza tempo. Gli stupa, disposti in maniera lineare e geometrica, sono intervallati da vialetti lungo i quali è possibile passeggiare. Ad ogni metro cambia la prospettiva di cui si può godere.
Molti stupa sono in stato di rovina, con le punte di metallo rovesciate di lato e sul punto di cadere a terra. Le basi sono impreziosite da statue, decori e fregi, mentre il cuore di ogni edificio è abitato da un piccolo Buddha sereno.
Migliaia di campanelli sono appesi alle guglie di ferro che si stagliano contro il cielo: il vento li agita producendo una musica che confonde la mente e aiuta ad immergersi in meditazione.
È questo stato di sospensione tra sogno e realtà, tra passato e presente che rende Kakku così sorprendete.
Anche le condizioni di delicato abbandono in cui versano gli edifici è affascinante. Passeggiando a Kakku ci si sente complici di un passato misterioso, fatto di chissà quali storie, vissuti, pensieri. Ma è un fantasticare tutto occidentale.
Uno stupa è un monumento spirituale che rappresenta il corpo di Buddha e il percorso che conduce all’illuminazione. Per un buddista non c’è nulla di affascinante nel vedere uno stupa fatiscente che rischia di accasciarsi a terra.
Per questo motivo, le istituzioni locali invitano i pellegrini a lasciare offerte votive per consentire il restauro dell’area. Spesso questi interventi sono molto invasivi e si curano poco di rispettare gli stili architettonici originari. Con ogni pagoda restaurata, Kakku perde un po’ del suo fascino archeologico. A malincuore, mi sforzo di accettare che tutto cambia… o muore.