Noi occidentali spesso dimentichiamo che i fiumi sono creature vive: l’acqua che li nutre scorre senza sosta, rende fertili i terreni che incontra e li purifica dai sedimenti in decomposizione. Nell’antichità, i fiumi venivano venerati come divinità, insieme a molti altri elementi della natura dalla cui esistenza dipende la nostra.
Da secoli ormai l’occidente non pensa più alla natura in termini religiosi e ci fa sorridere l’idea che un fiume possa ancora essere venerato come una divinità.
Ma l’Asia ragiona in termini diversi ed essendo il continente più popoloso del pianeta non possiamo non tenerne conto.
In India, ad esempio, gli induisti sfidano le leggi della scienza immergendosi e bevendo l’acqua del Gange, uno dei fiumi più inquinati del mondo. Domandate loro se non temono di ammalarsi e vi risponderanno “Niente affatto. La mia fede in Shiva mi proteggerà.”
Se state aggrottando le sopracciglia con aria di superiorità, ricordate che i cristiani credono in un Dio nato da una donna vergine per opera di una colomba!
Così come il Colosseo è il simbolo di Roma e la torre Eiffel di Parigi, il fiume Gange svolge un forte ruolo identitario per tutti gli indiani.
Geograficamente, il Gange è un grande corso d’acqua che nasce sui ghiacciai dell’Himalaya, attraversa le pianure del nord-est indiano e sfocia nel golfo del Bengala. Con i suoi 2.500 km di lunghezza e un delta ampio ben 350 km, il Gange è vitale per 500 milioni di persone che vivono lungo le sue sponde e dipendono dalle sue acque per lavarsi, cucinare e irrigare i campi.
Ma ciò che lo rende davvero unico è il suo straordinario valore religioso. Come la Mecca per i musulmani, il Gange è una meta di pellegrinaggio obbligata per tutti gli induisti, che sognano di recarvisi almeno una volta nella vita. Bagnarsi nelle sue acque purifica infatti dai peccati e morire sulle sue sponde è considerato un grandissimo privilegio.
Il politico indiano Jawaharlal Nehru scrive a riguardo: “La storia del Gange è la storia della civiltà e della cultura dell’India, della nascita e della caduta di imperi, di grandi e fiere città, dell’avventura dell’uomo”.
Oltre 1 miliardo di indiani considerano il Gange il fiume sacro per eccellenza e lo venerano come un dio, o meglio, come una dea: Ganga Ma (la madre Ganga). Secondo la mitologia induista, infatti, il Gange era un tempo un fiume che scorreva nel mondo degli dei e il suo corso dava vita niente di meno che alla Via Lattea. Il dio Vishnu vi fece un foro con un dito del piede e così le acque del Gange iniziarono a fluire sulla terra.
Per questo motivo, recarvisi in pellegrinaggio almeno una volta nella vita non solo è considerato di buon auspicio, ma un’azione essenziale per esperire i propri doveri di induista. Una volta giunti sui ghat (le ampie gradinate di accesso alle sponde del fiume), i fedeli vi si immergono, facendo delle abluzioni e pregando per essere purificati dai peccati.
È usanza portare a casa un campione di acqua del Gange, che viene considerata benedetta al pari della nostra acqua di Lourdes; berne l’acqua in punto di morte consente poi un trapasso felice.
Diverse città sacre sono sorte nei secoli sulle sponde del fiume: tra queste, Haridwar, Prayagraj e Varanasi (di gran lunga la città più sacra di tutto il paese).
Nota in passato come Benares, Varanasi è una città indiana situata nello stato dell’Uttar Pradesh ed eretta proprio lungo un’ansa del Gange. Abitata da circa 3.500 anni, Varanasi è uno degli insediamenti umani più antichi al mondo e in assoluto il più sacro per gli induisti.
Secondo i testi sacri, infatti, Varanasi è il luogo in cui venne creato il mondo e l’unico luogo che sopravviverà alla sua distruzione. Un milione di pellegrini la visitano ogni anno ed è un dovere recarvisi almeno una volta nella vita.
Morire a Varanasi ed essere bruciati lungo la riva occidentale del fiume consenta di sfuggire al ciclo delle reincarnazioni, o samsara. Per questo motivo, molti anziani si recano a Varanasi e vi restano fino alla morte. I loro corpi saranno cremati in uno dei due ghat crematori, che sono proprio nel cuore della città (e non nelle zone periferiche come avviene nelle altre città sacre sul Gange).
Solo i neonati e i sadhu (i santoni) non vengono cremati: i loro corpi vengono adagiati sul letto del fiume e trasportati dalla corrente. Essendo privi di peccati, i loro corpi sono puri e meritano di riunirsi alla madre Ganga così come sono: davvero un grande onore.
Per un turista non è facile assistere alle cremazioni, né fotografarle. Ho avuto l’immensa fortuna di ricevere un permesso per poterlo fare. Per ore ho visto le pire bruciare: me ne ricordo ogni volta che la vita mi turba.
“La vita è un ponte”, recita un proverbio indiano. “Attraversalo pure, ma non pensare di poterci costruire la tua casa”. È un messaggio potente: George Harrison, il famoso chitarrista dei Beatles, ne subì il fascino a tal punto che chiese che le sue ceneri fossero gettate nelle acque del Gange.
Ogni sera, lungo uno dei ghat cittadini, centinaia di fedeli si riuniscono per il Ganga Aarti, una cerimonia in onore della dea del fiume. È uno spettacolo davvero suggestivo: ho potuto assistervi molte volte, fino a stordirmi.
I sacerdoti danzano davanti al fiume, al suono di una musica ritmata e ipnotica, mentre i fedeli si dedicano al rito della puja: lasciano barchette di fiori e candele lungo il letto del fiume, nella speranza che la dea Ganga ascolti le loro preghiere.
Durante la cerimonia, tutti si dipingono i tilaka sulla fronte e anche ai turisti viene chiesto di lasciarsele disegnare. “Shiva ti proteggerà”, dicono i sacerdoti incaricati del servizio. “Anche se non sei induista, accetta la sua benevola protezione”.
Nonostante la sua millenaria sacralità, il Gange è anche uno dei fiumi più profanati del pianeta.
Ogni giorno vengono sversati circa 6 miliardi di litri di acque di scarico, tra rifiuti industriali, scarti delle aziende agricole e rifiuti urbani. Anche le cremazioni e il conferimento delle ceneri dei defunti nel fiume non aiutano a migliorare la situazione, per non parlare degli animali morti che spesso si vedono galleggiare e putrefarsi nel Gange.
Molte delle 50 città nate lungo il fiume non hanno impianti di depurazione e i fertilizzanti utilizzati in agricoltura non vengono trattati prima di essere espulsi.
Tutto questo ha reso il Gange uno dei fiumi più inquinati del mondo.
Ciononostante, gli indiani continuano ad avere fede in Shiva e nella madre Ganga: si lavano i denti, i capelli, i vestiti, fanno le loro abluzioni e spesso bevono le acque del fiume. Questo la dice lunga sulla grande devozione degli induisti.
Dopo oltre 30 anni di tentativi poco riusciti di ripulire le acque del fiume, nel 2017, finalmente, la corte suprema indiana ha riconosciuto al Gange e allo Yamuna lo status di persona giuridica.
Oggi inquinarne le acque è considerato un reato contro la persona e qualsiasi privato cittadino può sporgere denuncia in sua difesa.
Nella sentenzi si legge che il Gange, lo Yamuna e tutti i loro affluenti “sono entità legali e viventi aventi lo status di persona giuridica, con tutti i derivanti diritti, doveri e responsabilità”. I giudici che lo hanno decretato hanno fatto riferimento ad un caso analogo, quello del fiume Whananui in Nuova Zelanda, che è sacro al popolo Maori.
È una notizia che ha ridato speranza alle associazioni ambientaliste che da anni lottano per la salvaguardia dei fiumi indiani, ma resta ancora da capire come si potrà rendere effettiva la nuova disposizione. Cosa ne sarà delle acque reflue delle metropoli indiane (circa 1,5 miliardi di litri al giorno) e dei residui industriali (500.000 litri)? Quanto tempo e fondi saranno necessari per dotarsi di impianti di depurazione efficienti?
Ogni volta che pubblico foto di pellegrini in riva al Gange, ricevo commenti preoccupati. Molte persone inorridiscono davanti alla poca igiene di certe pratiche e posso senza dubbio capirli: io stesso ho assistito a scene surreali. Davanti ad una mucca che urina sulla sponda del fiume, a pochi metri da un uomo che si lava i denti e da un cadavere che viene cremato, è difficile non sentire i brividi percorrerci la schiena.
Eppure, l’India ha l’animo di un poeta. Trasfigura la realtà e la sublima, traslandone i significati letterali. Chi ha visitato l’India lo sa: appena si varcano i suoi confini si entra in un’altra dimensione.
Ho trascorso circa una settimana a fotografare il fiume più sacro del mondo e sono giunto a questa conclusione: il Gange non è solo un fiume tracciato sulle cartine geografiche; il Gange è una madre amorevole che lava, disseta, conforta e cura.
Nelle sue acque ho visto uomini adulti giocare come bambini e ragazzini pregare con la concentrazione di venerandi anziani; ho visto bere scimmie, cani, mucche e capre e ho pregato mentre i cadaveri venivano lavati e le pire bruciavano.
I cristiani vengono tumulati dentro claustrofobiche bare e poi murati in loculi impilati verticalmente per contenere spazi e costi. Ci sembra normale così. Gli indiani sognano di tornare nelle acque di una madre. D’altronde, non veniamo generati nel grembo materno, dove nuotiamo beati immersi nel liquido amniotico? E allora che male c’è a desiderare di poter tornare nel grembo di mamma Ganga, dea delle acque, le cui acque hanno generato la via lattea, la nostra galassia?
È stata x me un’esperienza indimenticabile e nel contempo una triste realtà di persone dignitose nella loro povertà!!!❤❤❤❤❤❤❤
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3 Comments
Il fiume più inquinato al mondo! Scientificamente provato!!! Ma, alle prime luci dell’alba è una tavolozza di colori!!! Bellissimo!!!
Bellissimooo ciò che testimoni