
Il fiume Gange tra sacro e profano
7 cose da sapere sul fiume Gange, il fiume più sacro e inquinato del mondo. Il Gange non è solo un fiume tracciato sulle cartine geografiche; il Gange è una madre amorevole che lava, disseta, conforta e cura.
Cose incredibili accadono quando si esce dalla propria zona comfort. Avventure al tempo stesso eccitanti e spaventose. È proprio vero che “ci sono più cose in cielo e terra di quante ne sogni la tua filosofia”. Qui sotto c’è una selezione delle avventure che si sono presentate lungo la mia strada: mi hanno insegnato che, con la giusta prudenza ed intraprendenza, si può vivere una vita più grande di quanto avremmo mai sognato.
L’importante è viaggiare.
Reportage fotografico e Racconti in un Blog Viaggi a cura di Andrea Marchegiani.
I racconti più popolari del mio blog di viaggi. Editoriali, avventure e aneddoti da ogni angolo del mondo!
7 cose da sapere sul fiume Gange, il fiume più sacro e inquinato del mondo. Il Gange non è solo un fiume tracciato sulle cartine geografiche; il Gange è una madre amorevole che lava, disseta, conforta e cura.
Il luogo più inospitale della terra si trova in Dancalia, una regione dell’Etiopia. Qui le temperature superano i 50° centigradi e il caldo non dà tregua neanche di notte, quando si raggiungono i 35°.
Le difficoltà che si incontrano in Etiopia forgiano il carattere, specialmente se si decide di visitarla nel periodo più caldo dell’anno.
Ebbene, in quale altro luogo del pianeta poteva crearsi una frattura nel terreno così profonda da spaccare l’Africa in due e farla scomparire sotto le acque di un nuovo oceano?
Di rado ci interessiamo di quello che succede in India, mentre a tutti gli effetti ci riguarda da molto vicino. Con quasi 1,4 miliardi di abitanti, l’India è il secondo paese più popolato al mondo e sta per diventare il primo. Quello che accade in India, insomma, accade a buona parte dell’umanità.
Sapevate che, in India, fino al 2014 oltre 700 milioni di persone non avevano un bagno in casa né accesso ai servizi sanitari più essenziali? In soli 5 anni, il progetto Clean India ha cambiato tutto.
L’Induismo è una delle religioni più antiche e complicate del mondo e la dualità creazione-distruzione viene superata in una visione del mondo che abbraccia entrambi gli aspetti come momenti essenziali della realtà delle cose. A Varanasi, questa commistione di elementi opposti mi sembra riscontrabile ovunque il mio occhio spazi, soprattutto nel Manikarnika Ghat, il più grande dei due ghat crematori della città. Qui è conservato un fuoco che arde da molti secoli. Ogni giorno, decine di pire vengono accese a partire da un tizzone di brace rimasto dalla cremazione precedente; risalgo con l’immaginazione al fuoco originario, acceso un millennio fa e ancora vivo, grazie ai defunti che lo hanno alimentato nel corso dei secoli.
Nessuno arriva a Varanasi per caso. Eppure, non si è mai preparati alle emozioni contraddittorie che si provano immergendosi nei vicoli della città, passeggiando lungo gli 84 ghat che costeggiano le rive del Gange o assistendo alla cerimonia quotidiana del Ganga Aarti. Per non parlare dei burning ghat, dove si tengono le cremazioni pubbliche che hanno reso la città famosa in tutto il mondo. Varanasi, e l’India in generale, sono capaci di portare caos e disordine nella mente di ogni viaggiatore occidentale. Dopo lo stordimento iniziale, i più scappano a gambe levate; solo pochi, i più fortunati, riescono a comprenderne il profondo valore esistenziale.
Proseguo il mio percorso lungo l’antica via della seta e arrivo a Bukhara. Qui, a mio avviso, si trova il patrimonio artistico più affascinante di tutta l’Asia centrale. Bukhara infatti è stata sottoposta ad un intervento di restauro meno invasivo di quello riservato a Samarcanda ed oggi incarna meglio di qualunque altro luogo la fisionomia che aveva il Turkestan prima dell’arrivo dei russi. Ogni volta che alzo lo sguardo, l’occhio cade sulle facciate delle madrase e i profili dei minareti, che non si stancano mai di farsi ammirare.
È amore a prima vista.
Aral è stato un lago salato di origine oceanica, formatosi 5,5 milioni di anni fa e situato in un’area che spazia dall’Uzbekistan al Kazakhstan. Sebbene non sia del tutto scomparso, oggi se ne parla al passato. In soli 60 anni l’uomo è infatti riuscito a distruggere il suo delicato ecosistema, lasciando al suo posto un desolato deserto avvelenato. Non a caso, Al Gore lo ha definito “il più grave disastro ambientale di tutti i tempi causato dall’uomo”.
Sveglia all’alba, colazione frugale e subito in sella delle nostre jeep. Ci dirigiamo verso i Canyon di Bozshira, il luogo forse più conosciuto del deserto del Mangystau. Se fosse ancora di moda inviare cartoline, vorremmo tutti spedirne una da qui. E ne terremo un’altra in tasca, come ricordo, a testimonianza del fatto che siamo stati qui, sporchi e sudati, ad ammirare uno dei panorami più belli del mondo.
Le Tiramisu Mountains sono un luogo tanto straordinario quanto sconosciuto. Non ci sono segnali stradali a condurci qui e le strade sterrate sembrano davvero tutte uguali. Ho sentito dire che nemmeno i locali conoscano queste formazioni rocciose. La jeep si ferma su un punto panoramico. Una vallata dai rilievi morbidi si estende da un capo all’altro dell’orizzonte. La luce pomeridiana rende le ombre accattivanti.
Da “TUTTI FOTOGRAFI” | Febbraio 2019
Fotografo e blogger, Andrea Marchegiani ci racconta del suo amore per la fotografia di viaggio, dei suoi ultimi viaggi in Etiopia e Cina e di come è nato il suo progetto Any Place is Home, sito web dedicato alla fotografia e blog con interessantissimi reportage di viaggio, di cui cura sia i testi sia le immagini. Cosa rappresenta per te la fotografia di viaggio?
Viaggiare consente di esplorare diverse culture, è un modo straordinario per crescere interiormente e ridimensionare i paradigmi culturali della società in cui si è nati…
A voler essere precisi, Joal Fadiouth sono due luoghi in uno. Joal è una stretta penisola all’estremità di Petit Cote, in Senegal. Ospita un piccolo villaggio di pescatori, con le sue piroghe colorate e i ritmi di vita scanditi dal mare. Fadiouth invece è una piccola isola, collegata a Joal da un ponte in legno lungo circa 800 metri. È interamente formata da gusci vuoti di conchiglie, accumulate qui nel corso dei secoli dai pescatori di molluschi.
I Peul sono giunti in Senegal di migrazione in migrazione. Qui si sono convertiti all’Islam e alcune tribù sono diventate stanziali, con grande disprezzo delle altre che seguono ancora le tradizioni nomadi originarie. Prediligono i bovini dalle grandi corna e sono così legati al bestiame da chiamare i propri figli con i nomi dei tori e delle mucche più belle. La loro società si fonda sui principi di libertà, dignità e bellezza.
Ci alziamo di buon’ora per raggiungere il mercato del pesce di Kayar. Ciò che sto per vedere mi riempirà gli occhi di meraviglia. Kayar è un villaggio a circa 60 km a nord di Dakar ed ospita uno dei centri di pesca più grandi del Senegal. Ci si aspetterebbero grandi imbarcazioni dotate di sistemi di pesca industriali e invece ci troviamo davanti ad una sterminata sfilata di piroghe, piccole imbarcazioni tradizionali in legno colorato. Ogni imbarcazione ha il proprio motivo decorato, che identifica la famiglia di appartenenza.
Mi inoltro nelle praterie silenziose di Ganja, contea di Xiahe, prefettura autonoma tibetana di Gannan, provincia di Gansu. Questo luogo è reale, non lo sto sognando. Entro in silenzio in uno dei tempi e trovo i monaci intenti a produrre delle candele votive con il burro di yak. Ci scambiamo degli sguardi di saluto. A gesti chiedo di poter assistere al procedimento, loro sorridono e fanno cenno di sì. Sì e no sono concetti universali. Anche la gentilezza è universale, penso. Tutti la comprendono e tutti la apprezzano. E con gentilezza si avvicina un ragazzo, sventolando un mazzo di chiavi. Mi fa più volte cenno di seguirlo.
Situato a 3000m di altezza, in una vallata tra i monti dell’altopiano tibetano, Labrang è uno dei 6 più grandi monasteri del buddismo. Fondato nel 1709, appartiene alla scuola religiosa dei Gelgpa, conosciuta col nome di “Berretti Gialli”, il cui capo supremo è il Dalai Lama. Occupa quasi 900 ettari di terreno e comprende 10.000 stanze, dipinte di bianco, rosso e giallo a seconda della loro funzione. È sede di un’università, vanta una ampia biblioteca e vi si svolgono importanti riti e cerimonie. Il monastero ospita inoltre il più alto numero di monaci residenti fuori dal Tibet. In passato vi risiedevano 4.000 monaci ma oggi il governo cinese ne ha limitato il numero a circa 1.500.